
Gianluca Gambini
Da Terni, l’imprenditore Gianluca Gambini racconta il suo percorso tra assicurazioni, sport e ristorazione. Fare impresa significa educare alla responsabilità verso il territorio. Un dialogo diretto sul lavoro, i giovani e l’urgenza di una nuova cultura del rischio.
Radici, visione e impresa: un territorio da far crescere
UMBRIAreport dà voce agli imprenditori umbri che ogni giorno costruiscono valore economico e sociale nella comunità. Storie di impresa e territorio, radicamento e passione. Protagonista di oggi è Gianluca Gambini, assicuratore, imprenditore e uomo di sport, che da Terni ha saputo intrecciare lavoro e comunità in un progetto di crescita condivisa.
Radicato nel cuore dell’Umbria, Gianluca è un imprenditore e assicuratore di lungo corso, ma anche un uomo che ha fatto del legame con il territorio la sua vera cifra distintiva. Originario di Attigliano, dopo un primo anno accademico nei Carabinieri, ha intrapreso giovanissimo la carriera assicurativa. Oggi è a capo di una rete strutturata di subagenzie e si definisce un agente imprenditore, convinto che la crescita passi attraverso la costruzione di squadra, relazioni e fiducia.
Accanto alla carriera assicurativa, Gambini coltiva da sempre la passione per il calcio: prima come giocatore, poi come direttore sportivo. “Il calcio mi ha permesso di conoscere persone, creare amicizie, stringere collaborazioni”, racconta. Un’esperienza vissuta anche con spirito di restituzione: “L’ho fatto gratuitamente, mettendoci anche del mio, perché credo sia giusto ridare qualcosa a un ambiente che mi ha dato molto”.
Nel solco di questo impegno sociale nasce anche l’investimento nella ristorazione: un locale moderno nel cuore di Terni, pensato come segnale di rinascita per la città. Ma Gambini non nasconde le difficoltà: “C’è troppa burocrazia per chi vuole lavorare onestamente. Serve equilibrio nei controlli: non possiamo penalizzare chi lavora bene e lasciare campo libero a chi aggira le regole”.
Giovani e lavoro: tra aspettative e cultura del sacrificio
“Veniamo da una mentalità legata all’industria pesante, quella delle acciaierie – racconta – dove il posto fisso era tutto e il lavoro era sinonimo di sicurezza garantita. Questa mentalità ha creato un modello dipendente, difficile da superare. I giovani di oggi arrivano con l’idea di volere tutto e subito. La prima domanda che ti fanno è: quanto mi dai? Nessuno chiede: cosa posso imparare? o che percorso di crescita posso fare qui dentro?”.
Secondo Gambini, manca una vera cultura della formazione. “Io alla loro età lavoravo anche senza essere pagato, perché il mio obiettivo era imparare, crescere, diventare bravo in qualcosa. Oggi vedo ragazzi di 17 o 18 anni che si aspettano un compenso immediato senza aver acquisito competenze. E spesso, una volta che iniziano a lavorare, cercano già di ridurre il proprio impegno.”
Per l’imprenditore ternano, questa non è solo una questione generazionale, ma culturale. “Serve un cambiamento profondo nel modo di concepire il lavoro. Bisogna rieducare alla responsabilità, alla pazienza, alla consapevolezza che il successo non è mai istantaneo. E questo è un compito che spetta anche a noi imprenditori: formare, motivare, ma anche dire dei no, quando serve.”
Un’educazione al lavoro che parte dal basso, dalla quotidianità, e che dovrebbe essere condivisa tra scuola, famiglia e impresa. “Solo così – conclude Gambini – possiamo costruire una nuova generazione di lavoratori capaci, affidabili, e soprattutto consapevoli del valore del tempo, dell’esperienza e del sacrificio.”
Polizze catastrofali: protezione concreta, non tassa occulta
Tra i temi su cui Gianluca Gambini insiste con forza, c’è quello delle polizze catastrofali, uno strumento assicurativo ancora poco compreso ma fondamentale per la sopravvivenza economica delle aziende. “Oggi molte imprese vedono l’obbligo assicurativo contro eventi catastrofali come una tassa da pagare, senza capirne il vero valore. Il nostro lavoro, come consulenti, è fare cultura”, sottolinea.
Ma cosa sono le polizze catastrofali? Sono coperture assicurative pensate per proteggere aziende e privati da eventi gravi come terremoti, alluvioni, frane, tempeste e altri disastri naturali o causati dall’uomo. Il loro obiettivo è garantire che, in caso di danno, un’attività possa ripartire, evitando il fallimento o la chiusura definitiva.
Secondo il nostro imprenditore l’interesse crescente delle compagnie assicurative verso le polizze catastrofali è tutt’altro che casuale. Da un lato, c’è un evidente aumento della domanda: eventi estremi, frane, alluvioni e terremoti sono sempre più frequenti e rendono vulnerabile il patrimonio edilizio, soprattutto quello aziendale. “Molti immobili – spiega – sono vincolati da mutui, leasing o finanziamenti. Se arriva una calamità e l’azienda non è assicurata, il rischio è il fallimento totale, senza alcuna possibilità concreta di ripartenza.”
Dall’altro, le compagnie vedono in queste coperture un’opportunità strategica. Offrire polizze contro i rischi catastrofali consente loro di ampliare e differenziare l’offerta, arrivando a nuovi segmenti di clientela. E oggi, grazie all’uso di tecnologie avanzate come i modelli predittivi e l’analisi dei dati, è possibile stimare con grande precisione il rischio di ciascuna zona. “Anche all’interno di una stessa città – racconta Gambini – possiamo fare quotazioni molto diverse: il centro di Terni ha un rischio molto più basso rispetto a Vocabolo Sabbione, dove passa un fiume e il rischio di inondazione è reale.”
Un altro elemento chiave è la personalizzazione: le polizze possono essere costruite su misura, adattando franchigie, limiti e coperture alle esigenze specifiche del cliente. In questo modo, le compagnie si differenziano dalla concorrenza offrendo soluzioni più efficaci e accessibili.
Infine, la gestione del rischio è oggi più solida grazie al sistema della riassicurazione. Le compagnie si appoggiano a partner internazionali, capaci di assorbire gli shock economici più gravi e garantire stabilità finanziaria anche in caso di eventi di grande impatto.
Nonostante tutto questo, in Italia manca ancora una cultura del rischio. “Dopo il rinvio dell’entrata in vigore dell’obbligo assicurativo, le vendite si sono praticamente fermate. Ma il problema resta: senza coperture adeguate, ogni azienda è fragile”, ribadisce Gambini.
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